Nel pomeriggio del  1° novembre 1975 Pasolini rilasciò a Furio Colombo un’intervista di cui pensò anche il titolo: “Siamo tutti in pericolo”.

 “… Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo. È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità.

E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire «evidenza». Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.

Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci…”


“Siamo tutti in pericolo”, L’ultima intervista a PPP, di Furio Colombo (1. XI.1975)
https://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/pagine-corsare/la-vita/morte/siamo-tutti-in-pericolo-lultima-intervista-a-ppp-di-furio-colombo-1-xi-1975/

Eugenio Borgna

Da ragazza, tre mesi prima di diplomarmi infermiera chiamai l’ufficio infermieristico del Paolo Pini, per informarmi per un futuro lavoro lì. Avevo da poco partecipato come pubblico alla rassegna del cineforum organizzata in quegli spazi, (Da vicino nessuno è normale) che dava senso concreto alla dignità della fragilità umana attraverso il dialogo e il confronto “culturale” . I casi della vita, le somme, le sottrazioni, tutte le strade messe a fuoco con fatica e le altre, quelle comode e sbagliate, mi hanno portata a vivere fra arte e psichiatria.

Una sera Eugenio Borgna mi sorrise,
avevo letto emozionata
alcuni passi del suo libro “Parlarsi”
alla presentazione organizzata da
Il ruolo Terapeutico, a Milano.

«Non si è capaci di colloquio, di dialogo se non si sa guardare dentro di sé, scendere negli abissi della nostra interiorità, e intravedere gli orizzonti di senso che si animano negli occhi, nel sorriso e nelle lacrime delle persone, con cui ci incontriamo.

Noi entriamo in comunicazione, e cioè in relazione con gli altri, in modo tanto più intenso e terapeutico quanta più passione è in noi, quante più emozioni siamo in grado di provare, e di vivere. Se vogliamo creare una comunicazione autentica con una persona, se vogliamo davvero ascoltarla, non possiamo non farci accompagnare dalle nostre emozioni».

“Non c’è comunicazione autentica con la sofferenza psichica se non quando si evitano parole indistinte e banali, ambigue e indifferenti, glaciali e astratte, crudeli e anonime. […] Costa fatica, costa tempo, questa educazione alla partecipazione ai pensieri e alle emozioni degli altri; ma è dovere, dovere inalienabile, farlo anche nella vita di ogni giorno; e quanta infelicità, quanta sofferenza, si eviterebbe, e come sarebbero aperte alla speranza le relazioni fra le persone.”

“La psichiatria quando si confronta con le grandi emozioni della vita, ha bisogno della poesia”.

Addio maestro gentile!

Eugenio Borgna 1930 – 2024

Disegnoritratto di Giovanna Valsecchi del 20/04/2016, quella sera.

Ti inquieto

Che risuona il ti refuso
scappato da dove,
messo lì perché?
A te che cosa, che cosa io a te?
Inadeguato, sbagliato e perso
un ti, a te, che non doveva che essere
due lettere sfuggite
inspiegate e lontane;
perché son così vicine ora,
come campane?

Dove vuoi che pianti la tenda con te?
Visto che sono qui e ti tengo,
percepisco, intendo
e tendo verso di te:
questa tenda, dove la pianto?
Qui? là? dappertutto, lassù?
Dove metto i picchetti e tiro le corde,
dove metto il patio e le piccole seggiole?
Pianterei una tenda ad ogni tuo sguardo
che indica me in luoghi infiniti,
nomade,
qui, dappertutto, ovunque,
senza vista, solo intuizione,
a seguire la voce,
a sentire che arrivi.

  1. Di filata e battendo il tempo.

    Il mio amico
    si è messo lontano
    si è levato dagli occhi
    sparito dal cuore
    la voce mia è andata
    come dentro ad un suono
    di un qualche cosa come
    non mi lasciare
    gli occhi e la mano
    ti vengo a cercare
    le spalle e gli occhi
    mi devi tenere
    dalle mie spalle e da questi miei occhi
    il mio amico è andato a sparire
    mentre cantavo
    mentre cercavo
    di fare andare giù lacrime e rime.

Michele o Michela o chi per te

  • Michele vedi
    non è questione di genere
    o di tenere carezze,
    di tenere e possedere
    o di generare parlare scambiare umori e opinioni,
    non è questione di rumori;
    forse è come mi guardi,
    che non volti che non voli,
    che non fai voti,
    che di me ti aspetti solo e che aspetti che di me sia solo,
    un guardare,
    prima l’occhio sinistro poi quello destro
    e se non vedi
    annusare e sfiorare
    e se non hai naso e mani
    prenderti un braccio,
    è ballare, forse solo questione di
    ballare di corpo,
    ma solo corpo senza generare, senza genere
    e forse, parlare scambiare rumori e opinioni,
    vedremo come fare.
    Che ci vuole, Michele?
    Mi credi un genere? Balla e abbraccia.
    Guardami e basta.
    Annusa oppure:
    usa le mani, o solo i piedi.
    Diremo, lo diremo
    che bello ieri.

Conchiglie dappertutto

IMG_1293Vado in pineta
a respirare la resina
al primo temporale d’estate.
Mi dirai di non fare il bagno
che quando piove è pericoloso,
chiaro che poi discuteremo
sul fatto che i fulmini possano cadere
anche a cielo sereno ovunque e sempre
in pineta sulla sabbia fra gli scogli
quando meno te lo aspetti
e parleremo di metafore
e latte di mandorle al tavolino
che hai costruito
con un’ asse di legno
arrivata sulla spiaggia
quella che ti ho detto mi piacerebbe
e tu l’hai fatto. Io ho delle conchiglie da parte e vorrei decorarlo:
come al solito
tu mi dirai che metto conchiglie dappertutto.

Fra Bari e Taranto

Una
serie ininterrotta di generazioni
di epoche e di storie
gli occhi e le parole
la cecità e le visioni 
della vita degli altri
senza soluzione di continuo
come ferite e pertugi
imbocchi e serrature
clic di flic flac
tutto dentro
dentro in me
niente di me fuori da me
verso Bari
andrò a Bari
e a Taranto andrò?
Il piccolo mare come sarà?
Saprò sempre da che parte stare
e questa è responsabilità
saprò dove portarti e come difenderti.
Accanto ho il mare (che ne dici di questa?)
Non stare a chiederti cosa succeda,
la luna, vedi? C’ è una nuvola, come stai?
Mi hai guardato, occhi belli che si interrogano
e mi pensano e si chiedono. Dove sarò?
Continui a guardare?
(finisci sull’orizzonte)

Titolo: Frazioni dal titolo “parole”.

seven-birds

 

Porto cinque, o dimentico
e sono sette, e non si offenderanno i primi due
che dimentico sempre;
porto sette amori, come una dote, che do a te,
in una parte che è tutto anche quando mi chiedono: qual’è.
L’ intero sta sotto e sono quei sette amori,
o settanta volte sette e li porto con te,
che ne contieni l’ intero,
in un giro di parole,  in giro con me.